mercoledì 6 marzo 2019

SURFABLOG.COM INTERVISTA MARCO MATERAZZI

Ieri, in occasione dell’evento tenutosi da Slam Jam Milano, in cui Inter e Nike hanno celebrato i 20 anni di partnership mettendo in vendita in anteprima mondiale 50 maglie Inter x Nike 20th Anniversary (l’edizione speciale che verrà indossata in campo in occasione del derby di Milano del 17 Marzo), ho avuto il piacere di intervistare Marco Materazzi. Matrix ha giocato nell’Inter dal 2001 al 2011, e nella sua carriera ha vinto: 4 Coppe Italia, 4 Supercoppe italiane, 5 campionati italiani, 1 Indian Super League, 1 Champions League, 1 Coppa del Mondo per Club, 1 Campionato mondiale. Vai su “Continua a Leggere” per vedere cosa ci siamo detti.


Ci conosciamo da tanti anni, ma è la prima volta che ti intervisto. Cosa ti piace di più della maglia dei 20 anni di Nike x Inter?
“Il mix tra maglie nuove e vecchie! E’ perfetto.”

Qual è tra le 10 maglie scelte, quella a cui sei più legato?
“Quella del 2010, ma nel secondo semestre, con la patch della Coppa Intercontinentale.”

Qual è la prima cosa che notavi quando presentavano una nuova maglia dell’Inter?
“Guardavo quanto costava. In base al prezzo voleva dire aver vinto o aver perso. Le patch costano, quindi più ne avevamo più la maglia aumentava di prezzo. Io venivo dall’Inghilterra, dove c’è il culto della maglia da calcio. Ogni anno nell’ultima partita della stagione si indossava la divisa dell’anno seguente (cosa che è arrivata anche in Italia). In questo modo, chi la voleva poteva trascorrere l’estate intera a mettere i soldi da parte per poi prenderla.”

Qual è la costante che trovavi ogni anno sulla maglia dell’Inter?
“La maglia cambia sempre: fit, traspirabilità e design. C’è una ricerca, e da poco ho dato un feedback per le divise dei prossimi anni, che ho avuto la possibilità di vedere in anteprima e sono davvero spettacolari. Quando vai in campo devi avere il massimo anche a livello prestazionale. Ogni anno andavo a sentire anche il peso, sebbene conti veramente poco, visto che c’è solo bisogno di cuore e di voglia di superare l’avversario. Le prime di Ronaldo che io ho, o quelle della Ennerre di lana, di Maradona al Napoli, pesavano tanto, e immagino che giocare con quelle fosse più dura perché ti facevano morire di caldo, mentre ora, le nuove maglie, quasi non le senti addosso. Questa era una caratteristica che con gli anni andavo a cercare.”

Ormai le maglie da calcio non sono più indossate solo negli stadi, ma anche in strada. Come vivi questa evoluzione?
“Per me è motivo d’orgoglio vedere grandi e bambini indossare la maglia dell’Inter e magari la mia. Significa aver lasciato un bel ricordo. Io ai tempi uscivo con la maglia di Figo del Portogallo. Il passaggio della maglia indossata per strada è dovuto anche ad un’evoluzione dell’oggetto, che è diventato un capo sartoriale e di moda, quindi non ci vedo nulla di strano ad andarci in giro.”

Come funzionava quando ti scambiavi la maglia dopo una partita?
“Ho una bella collezione di maglie scambiate. Mio padre faceva il mio stesso lavoro e da bambino cercavo le magliette visto che ero super appassionato, ma tanti mi dicevano che l’avevano già promessa ad un altro. Poi sono diventato giocatore, ma all’inizio essendo poco famoso, mi dicevano sempre “l’ho promessa”. Poi però sono passato dall’altra parte e dicevo a mia moglie “Ora devo regalarla a tanti giovani”, quindi ho tante maglie, che magari non sono appartenute a grandi campioni, ma era giusto riconoscere le nuove leve e scambiare la maglia con chi mi vedeva come un suo idolo.”

A proposito di collezione, oltre ad avermela mostrata dal vivo, hai pubblicato un post su Instagram in cui mostravi la tua stanza segreta con tutte le maglie. Qual è quella a cui tieni di più?
“Quella lì appesa (della finale di Madrid) è importante. E’ il coronamento di 10 anni di lavoro, dove nella sofferenza ci siamo trasformati da pulcino a cigno e abbiamo compiuto un’impresa che nessuna squadra italiana era ed è mai riuscita a fare.”

Invece qual è la maglia scambiata a cui tieni più?
“Ho avuto una bella fortuna, visto che l’ho scambiata con tanti. Forse quella di Ronaldo, quella del Fenomeno di Rio. Ho anche quella di Cristiano, che è stato molto gentile e mi ha mandato la sua del Portogallo.”

Cosa significa per te “Brothers Of The World”, il nuovo mondo di Nike e di Inter?
“Per me significa Inter. Io ho giocato con pochissimi italiani e il nome stesso lo dice: “Internazionale”. E’ il bello e il brutto dell’Inter: il brutto perché non puoi giocare a carte, scopa e briscola, il bello perché scopri tanti modi di vivere diversi. C’erano tante realtà che facevano crescere la tua cultura, anche al di fuori del campo.”

Qual è stato il giocatore più forte con cui hai giocato nell’Inter?
“Per me è stato quello che ha giocato anche nella seconda squadra di Milano: Ronaldo. E’ il più forte di tutti i tempi e non conta Inter, Milan, Juve. Lui era il calcio. Poi vengono tutti gli altri, Messi, Ronaldo, Maradona. Per me almeno. Ho avuto la fortuna di giocarci in squadra e di allenarmi con lui. Ci ho giocato un derby contro.. Era un amico, quindi sapeva cosa aspettarsi. Gli avevo detto “Non capisco le finte, io vado dritto”. Quindi mi ha girato al largo.”

Invece il giocatore più forte contro cui hai giocato?
“Ho avuto il grande c*lo di non aver mai giocato contro Messi o contro Cristiano. Ronaldo l’ho incontrato al Milan. Il più forte è stato Zidane.”

Cosa serve per vincere un derby?
“I piedi di Stankovic e il cuore di Materazzi.”

Qual è stato il momento in cui hai capito che potevate fare il Triplete?
“Per quanto mi riguarda, dopo la partita persa 3 a 1 a Catania. La Domenica mattina dopo il match, visto che abbiamo giocato di Sabato, abbiamo preso shampoo, bagno schiuma e acqua gelata da José. Ci ha fatto una lavata di testa che ci ha massacrati. A momenti strillava anche all’erba del campo se cresceva di un millimetro. Dopo dovevamo andare a Londra, dove, se avessimo perso, saremmo stati fuori dalla Champions e potevamo avere un contraccolpo anche in campionato, quindi non avremmo vinto niente. Quello è stato il bivio fondamentale per il nostro trionfo. Poi gli ostacoli erano come in un videogioco, andavi avanti fino in fondo. Chiunque si metteva avanti, veniva spostato.”

Qual è la differenza principale tra l’Inter di oggi e quella in cui giocavi te, trofei esclusi?
“Adesso è facile parlare perché è un momento delicato in cui si sta cercando di mettere dei paletti. I nostri paletti erano ben definiti nell’arco di 10 anni. Adesso c’è stato un cambio di società a livello di vertice, e quindi va dato del tempo ai giocatori di adeguarsi e a chi è arrivato in un ambiente nuovo e non ha trovato dei paletti che aveva in passato. Sto parlando di Marotta che veniva dalla Juve ed è vero che ha dovuto ricominciare, ma aveva già una cultura. Ora nell’Inter c’è un Presidente, c’è Marotta, e si stanno mettendo delle regole a cui tutti devono adeguarsi: da chi va in campo a chi taglia l’erba. Come lui ha detto, la cosa importante è l’Inter e non i giocatori.”

Oltre alle maglie, come me sei appassionato di sneakers. Quante ne hai e qual’è la tua preferita?
“Come le maglie non so dirti quante sono. Le mie preferite sono dei cimeli: quella firmata da Jordan e quella da calcio firmata da Cristiano Ronaldo. Prima o poi mia moglie mi butterà fuori di casa perché ho troppa roba e a momenti non ci entriamo noi. Per fortuna che ho smesso.”

Il ricordo più bello della tua carriera, anche extra Inter?
“Il gol al mondiale. All’Inter avevo raggiunto un equilibrio con la gente ed eravamo un tutt’uno. In nazionale dovevo convincere i tifosi delle altre squadre. Io essendo un simbolo dell’Inter, non potevo essere amato da altre tifoserie. Così come un interista odia sportivamente Gattuso, ma lo rispetta se lo incontra per strada. In nazionale era sempre più difficile mettere tutti d’accordo e l’unico modo, era fare un gol al mondiale e vincerlo. Alle 6 di mattina dopo il 9 Luglio del 2006, sono tornati tutti ad odiare Materazzi, ma in quelle 6 ore penso di aver unito l’Italia.”

In quel preciso istante del gol contro la Francia, cosa ti è passato per la testa?
“Nulla. Prima pensavo solo che avevo causato il rigore e che dovevo fare il pareggio sennò non potevo tornare in Italia. Io venivo dal gol molto più bello e importante contro la Repubblica Ceca, perché altrimenti avremmo incontrato il Fenomeno e saremmo andati a casa probabilmente. Lì il salto.. il gol era molto più atletico ed ero andato molto più in alto e lo avevo associato al fatto che qualcuno (la mia famiglia o mia madre che era in cielo), mi avesse spinto più in alto per colpire la palla. Come sai, la partita seguente sono stato espulso, a mio avviso ingiustamente, e tutti i miei detrattori erano tornati ad attaccarmi e l’unica maniera era tornare su.”

Progetti futuri?
“Mi godo la famiglia e aspetto che possa arrivare un’opportunità nel mondo del calcio. Oggi è difficile perché sono legato a doppia mandata con dei colori, e fare l’allenatore in Italia sarebbe complicato, non perché non sarei pronto, visto che lo stimolo e la voglia di mettersi in gioco ci sono sempre, ma non so se è il mio mondo. Dovrei snaturarmi, e tu che mi conosci sai come sono fatto: non accetterei regole da un Presidente. E’ successo in India e l’ho messo da parte; un conto è la parte manageriale, un altro è l’aspetto tecnico.”

Ringrazio Elisa, Nike Football, NSS per l’invito. Marco Materazzi per la sua disponibilità.
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