sabato 1 dicembre 2018

SURFABLOG.COM INTERVISTA/TALK CON VIRGIL ABLOH

Per chi segue questo blog, Virgil Abloh non ha bisogno di presentazioni. Per chi non lo avesse mai sentito nominare, lascio il link di un mio post in cui raccontavo la sua storia (per leggerlo clicca qui). Ieri Virgil, direttore artistico di Louis Vuitton e chief executive officer di Off-White, era allo Spazio Maiocchi di Milano, per il lancio della limited edition del magazine d’arte “Kaleidoscope”. Per celebrare questa rivista fondata nel 2009, si è svolto un talk/intervista con il designer, quindi vai su “Continua a Leggere” per vedere cosa ha detto.


Ciao Virgil, oltre ad essere un fashion designer sei anche un dj. Cosa ne pensi di questa attività?
“Mi piace molto fare il dj e di recente ho fatto un set per Yoko Ono. Adoro mixare perché stacco da tutto e dal telefono. In quel momento per ogni tre minuti penso solo al prossimo brano da mettere.”

Come ti definisci?
“Ho cominciato la mia carriera da fashion designer vivendo la mia creatività al di fuori dei classici limiti di questo mestiere. Non sarei diventato quello che sono se avessi iniziato credendomi un fashion designer, ecco perché ancora non mi definisco così. Se mi fossi sentito uno stilista, non avrei fatto moda e non avrei fatto il dj. Alcuni mi chiedono come mai faccio ancora il dj, e io dico che è così che esprimo anche la mia creatività.

C’è qualche somiglianza tra fare il dj e fare moda?
“Al 100%! Per me fare il dj è come andare in palestra, mentre per me fare una nuova collezione per Louis Vuitton come vincere la Coppa del Mondo. Fare il dj mi purifica la mente ed adoro farlo perché le cose migliori avvengono di notte. Non c’è niente di meglio che ascoltare la propria canzone preferita. L’unica cosa migliore è sentire una cosa che ti piace, ma che non ti aspetti, messa da un dj. E’ la stessa emozione che voglio ricreare quando disegno un nuovo paio di Nike. Per fare un’analogia, puoi ascoltare una canzone in radio 100 volte, come puoi trovare una Jordan da Foot Locker, però quando ascolti il pezzo durante un set di un dj, in cui lui mette le sue emozioni, è lo stesso che provo a fare quando creo io una Jordan: uso lo stesso modello ma lo stravolgo mettendoci del mio.”

Perché questa collaborazione con Kaleidoskope?
“L’ho fatta perché così cerco di capire a fondo come collegare il fashion con l’arte e la cultura. Mi piace sperimentare ed unire questi mondi, perché al loro interno posso inserire spunti. Una t-shirt ad esempio può diventare un simbolo culturale, come ad esempio una maglia degli Yankees. L’arte diventa moda e viceversa, quindi per me è tutta una contaminazione. Lo streetwear è un concetto che può esistere nell’arte e nella cultura.”

Qual è la connessione tra streetwear ed un dipinto o gli stendardi che troviamo all’ingresso?
“Nel 2019 penso che avrò molto più lavoro rispetto a quanto ne ho avuto fino ad ora. Inaugurerò a Chicago per creare un punto di riferimento artistico per i giovani. Quel tipo di arte che ti fa fare domande, che ti spinge ad una ricerca. C’è sempre una connessione, come per esempio per me, fare un dj set è un’altra forma d’arte. Quando vedi il quadro qui dietro, o quando guardi fuori le bandiere, il tuo cervello inizia a farsi delle domande e per me anche questa è una forma artistica. L’arte è ovunque e si può trovare in ogni tipo di espressione. Inizialmente pensavo che l’arte fosse un mondo solo per i ricchi e non credevo che io fossi in grado di farla. Questa collaborazione serve a mostrare la forza dell’advertising, dato che a secondo dei posti dove vai, la pubblicità cambia dalle zone ricche a quelle povere. Gira tutto molto velocemente e sono successe così tante cose negli ultimi 6-7 anni, che hanno permesso a Off-White o a Supreme di essere dei brand così importanti.”

A proposito di cambiamenti, ti ricordi la storia di Ari Saal Forman? Quel designer che negli anni 2000 disegnò la sua scarpa riprendendo un simile Swoosh capovolto, ma è stato denunciato da Nike e da Newport e ha dovuto pagare una marea di soldi..
“Nello streetwear ci sono tanti diritti di proprietà. Ormai anche la pubblicità sono immagini quotidiane. Quando vedi un logo Apple o di LV, hanno un’importanza tale perché rappresentano delle realtà ben precise. Sono marchi così desiderati che venderesti te stesso per acquistare i loro prodotti. Tutto il mio percorso è stata una ricerca continua.. Ora sono arrivato al punto che se vedo una borsa di Louis Vuitton, riesco a riprogrammarla. Questo sarà il tema della mio futura mostra a Chicago.”

Parliamo della mostra che farai al MCA di Chicago..
“Riprenderò i simboli e le iconografie della città. In ogni mio progetto riporto questa parte di me. Quando si parla di arte, è il mio modo per non avere filtri e non devo preoccuparmi se l’oggetto riuscirà a comunicare alla persone, visto che con esso faccio vedere da dove vengo. Quando cresci, analizzi la tua vita passata e questa mostra mi farà fare un viaggio nel mio passato. In questa esibizione, la mia arte metterà in evidenza la mia opinione aggressiva verso la società in cui viviamo. Lo scopo di questo museo è di combattere contro il concetto che se hai un titolo, non puoi fare altro e sei costretto a fare solo quella cosa. Non sarà solo fashion, non sarà un djset, opere o fotografie, ma è tutto insieme.”

Perché secondo te così tanti artisti negli ultimi anni vengano da Chicago?
“E’ un posto molto interessante, che amo tantissimo. Quando pensi all’America, si pensa subito a New York, o a LA. Chicago viene dopo di loro. E’ una zona di guerra dove muoiono ogni weekend circa 60 persone. Kanye West viene da lì ed è uno dei miei migliori amici. Abbiamo tante cose da dire perché proveniamo dallo stesso posto. Come mai così tanti artisti vengono da Chicago? Forse c’è qualcosa nell’acqua haha. Nella mia mostra farò vedere tanti aspetti della città.”

Ci saranno collaborazioni in questa mostra?
“Sicuramente. Prima quando leggevo il nome di un artista, pensavo ci fosse solo una persona dietro di lui. Una volta che però cominci a fare queste cose, realizzi che proprio la vita è un’intera collaborazione. Cerco di dare qualcosa a livello umano e ad un certo punto della mia vita mi sono interessato all’alta moda, ma quando andavo in giro vedevo sui mezzi gente che non vestiva così. Sto offrendo qualcosa alle persone, perché tramite le mie piattaforme, cerco di fare in modo che lo streetwear, che viene indossato quotidianamente, sia qualcosa di lusso.”

Per quanto riguarda il libro Kaleidoskope..
“All’interno sono presenti le mie radici. Gli shooting sono stati fatti in due location a cui tengo: una è dove ho studiato architettura a Chicago presso il l’Illinois Institute of Technology e l’altro è la Farnsworth di Chicago. Due luoghi che hanno influenzato molto il mio modo di vedere il mondo. Per me che venivo dal mondo del Rap e dello Skate, questi due posti erano distanti da me.. una sorta di bianco e nero. Venivo da un liceo dove sulle porte d’ingresso c’erano i cartelli con scritto “pistole non consentite”. Poi quando sono stato all’IIOT, ho capito che era il posto adatto a me.”

E’ incredibile come anche senza usare un logo, basta leggere una parola in Helvetica con due virgolette, e viene ricondotta a te, cosa ne pensi?
“E’ un senso di libertà per me. Viviamo in un periodo molto hypster, che ci permette anche di fare questo.”

Sono interessato alla tua definizione di luxury. Hai parlato di alta moda, quindi cosa significa lusso per te?
“Luxury è una parola in cui credo. Preferisco la comodità al lusso. Il luxury è un simbolo del tuo stato specifico. Nella cultura contemporanea il lusso è un oggetto e va creato. Questa borsa di lusso non è in pelle, è in plastica. Questo è lo streetwear.”

Cosa pensi dell’eco sostenibilità nella moda? C’è un vestito della tua collezione Off-White Primavera 19 che ha fatto discutere..
“Lo chiedi a me, ma in realtà può risponderti qualcuno del mio team a cui farei un applauso. Quel vestito è stato fatto in materiale riciclato. Il bello dello streetwear è il poter riutilizzare diversi materiali. I vintage store che sono pieni di vestiti già prodotti, quindi bisogna usare e modificare quella roba, per rendere il mondo un posto migliore per le future generazioni.”

Prima hai detto che lavori con un team e che quindi non c’è una persona che faccia tutto. Però al tempo stesso, sembra che sei uno che si occupa di ogni cosa: sei un fashion designer, un dj, un artista ecc. Quando devi passare alla dogana in aeroporto e ti chiedono qual è il tuo lavoro, cosa scrivi?
“Ogni volta che parlo con un addetto alla dogana mi sento come se mi stesse per citare in giudizio! Spesso gli agenti non ti prendono bene, se gli dici che fai il dj. La mia riposta è che faccio il graphic designer.”

Tutto è iniziato con la grafica?
“Sì, grazie al mio Photoshop, ho iniziato a fare i primi lavori.”

Sei rimasto sorpreso da un successo così grande della The Ten Collection o te lo aspettavi?
“E’ lo stesso concetto di quando faccio un djset, o di quando lavoro con Nike: ho la necessità di dar vita alla mia creatività. Non so se la collezione sia stata un successo o meno, non leggo mai i commenti sul web o le recensioni delle mie sfilate. L’importante è che io sia riuscito ad esprimermi. Quando mi capita davanti qualche post negativo, lo elimino e lo blocco, perché voglio allontanare quelle onde negative.”

Come prendi le critiche?
“Le critiche mi danno energia. Sono io il primo critico di me stesso. Le critica attiva su di me la pressione di non sbagliare. Due anni fa uno dei miei designer preferiti mi ha criticato e ovviamente mi ha fatto male. Lì però ho capito che mi spaventano, ma ora so come affrontarle e respingerle.”

Ci saranno altre colorazioni della Air Jordan?
“Sono un fan di Nike. Quando ho comprato la mia prima Air Jordan 1, l’ho messa sul comodino perché volevo che fosse la prima cosa che vedevo appena sveglio. Non ho voluto cambiare il materiale o il colore della Chicago, ma il modo in cui io la vedo. Per quanto riguarda nuove colorways.. Ti faccio vedere dopo sul mio cellulare!”

Ho letto che in passato, nessuno ti salutava quando entravi in uno store di Louis Vuitton, mentre ora sei il direttore creativo del marchio. Come ti senti di questo cambiamento?
“Cerco sempre di essere positivo e di guardare le cose belle. Avere una vita allegra, mi rende quello che sono oggi. Quando ho visto che nel mio ambito non c’erano molte persone pronte a fare la differenza, mi sono impegnato per far sì che la mia passione diventasse il mio lavoro.”

Come ti spieghi un successo così forte nella vita dei giovani?
“Sono a metà tra due generazioni. L’arte riesce ad unire diversi tipi di persone ed infatti vedo diversi giovani qui ad ascoltarmi.”

Dato che stai facendo così tante cose. Come organizzi la tua giornata?
“Mi ritengo un tossico di lavoro. Prima credevo che durante una giornata potevo fare una sola cosa, mentre ora credo che ci riesco in 20 minuti e durante quel tempo sono in grado di farne delle altre. Per me è fondamentale essere un multi task. Può sembrare che lavoro tanto e probabilmente è così.. Dipende tutto quale obiettivo vuoi raggiungere.”

Special thanks to Elisa e Camilla di HUB.
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