Com’è nato il tuo amore per lo sci? E’ stato il primo sport che desideravi fare?
“Amo il calcio e sognavo di diventare un calciatore professionista, ma mio padre era un grande appassionato di sci ed in Norvegia l’inverno dura metà anno. Fin da piccolo, mio padre e mia madre portavano me e mia sorella a sciare spesso, e quindi ho iniziato così. Mio padre mi ha indirizzato sullo sci ed ammetto che anche a me piaceva moltissimo. Una volta quando avevo tredici anni sono andato ad un torneo di calcio invece di allenarmi con lo sci. Mio padre mi disse “Ricordati di questo giorno quando perderai una medaglia Olimpica nello sci alpino per una manciata di centesimi di secondo, perché non ti sei voluto allenare ma hai preferito andare a calcio”. Lui era un uomo duro ed io poi ho perso una Olimpiade a Lillehammer per quattrocento millesimi di secondo, quindi ancora oggi faccio i conti con quella scelta contro il volere di mio padre. Lo sport era tutto per me e ricordo che amavo praticare hockey sul ghiaccio. E’ stata una scelta fortunata la mia: probabilmente nel calcio avrei giocato nella seconda divisione norvegese, che come immagini non è il massimo, e non sarei mai diventato come Messi. Invece sono diventato il Messi dello sci.”
Quando avevi 13 anni tuo padre ti disse quella cosa. Già a quella età avevi la sensazione di poter diventare un campione Olimpico?
“Sono nato per la competizione e per fare sport. Era nei miei geni, ma molto lo devo a mio padre che era un uomo duro e che mi ha fatto fare le scelte giuste. A quell’età gli dissi “Papà voglio diventare un campione Olimpico!” E lui “Allora devi scegliere questa strada: alzarti presto la mattina ed allenarti molte ore al giorno. Se non lo fai è ok, ma non vincerai mai le Olimpiadi”. Lui mi mostrava le conseguenze delle mie azioni fin da piccolo, infatti fin da quando avevo 7 anni facevo tutti i giorni 100 flessioni, 100 squat, 100 addominali e 12 degli esercizi di yoga più importanti. Volevo diventare un atleta e nessuno, neanche mio padre, poteva costringermi ad esserlo.”
In percentuale, qual è l’importanza tra allenamento e talento?
“Penso sia tutta una questione di lavoro duro, specialmente nello sci. Il talento è secondario, più o meno un 70% allenamento e 30% talento. In ogni caso puoi essere il più talentuoso in assoluto, ma se non ti alleni non diventerai mai un campione Olimpico. Quando hai talento puoi essere bravo tra i 16-17 anni, ma poi gli altri ti supereranno. Devi scegliere la tua passione. Nel salto con gli sci però è diverso: devi averlo nel sangue.”
Hai vinto tanto; qual è stato il tuo successo più grande?
“L’esperienza vissuta in questi anni con i miei amici e colleghi. Non sono le medaglie, non sono i trofei, ma quello che abbiamo fatto insieme. Eravamo 10 ragazzi ed ognuno di noi ha vinto qualcosa, chi più chi meno, ma tutti ci siamo tolti grandi soddisfazioni.”
Ascoltavi musica prima di una competizione?
“Se ti alleni tanto e sei molto concentrato, la musica ti distrae. A volte ascoltavo “L’Occhio della Tigre” di Rocky per motivarmi. Per me era impossibile concentrarmi e sentire le canzoni, poi lo sai siamo uomini, possiamo fare solo una cosa per volta.”
Cosa ti piace ascoltare?
“Musica Pop, niente di super ricercato. Il mio gruppo preferito sono i Dire Straits.”
Qual è la differenza tra la tua giornata tipo in passato ed ora?
“Non c’è molta differenza. Il mio scopo ora non è vincere le gare nello sci, ma devo comunque concentrarmi su altri aspetti. Ora punto ad essere un bravo papà, avere un corpo sano, essere un brava persona. E’ sempre un duro lavoro, ma mi concentro su altro. Sono felice.”
Ringrazio Kjetil per le interessanti risposte, Nadia di OPRG per aver organizzato l’intervista ed Eurosport per l’invito.
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