lunedì 10 aprile 2017

SURFABLOG.COM INTERVISTA CARLO RIVETTI

Durante l’ultimo giorno del Salone del Mobile a Milano, ho avuto il piacere di intervistare Carlo Rivetti, proprietario di Stone Island. Carlo proviene da una famiglia con radici profonde nel settore dell’abbigliamento, risalenti al diciannovesimo secolo. Nel 1983 ha conosciuto Massimo Osti, che un anno prima aveva dato vita a Stone Island. I due hanno collaborato creando una serie di giacconi con un logo caratterizzato dalla Rosa dei Venti, simbolo dell’amore per il mare e per la ricerca costante. A metà degli anni ’90, Massimo ha lasciato l’azienda, che da quel momento in poi è stata gestita da Rivetti. Vai su “Continua a Leggere”, per la sua intervista.


Producete tutto voi? Come nasce un capo di Stone Island?
“Non produciamo tutto noi, ma all’interno dell’azienda realizziamo tutti i prototipi e tutta la tintura. Quest’ultima viene fatta in Emilia nella nostra tintoria sperimentale. La produzione viene curata da specialisti sparsi sia in Italia che nel Mondo.”

Qual è stata l’evoluzione del brand dal 1983 ad oggi?
“E’ stata un’evoluzione che ha seguito il nostro DNA. La moda spesso va a cicli, mentre noi abbiamo cercato di andare sempre dritti per la nostra strada, senza seguire nessuno ed aspettando che la richiesta ci venisse addosso. Nell’82 siamo stati fortunati, visto che è arrivata sul mercato la prima generazione di ragazzi interessati a noi, che erano i “Paninari”. A metà degli anni ’90 abbiamo iniziato l’espansione all’estero e adesso c’è stato un nuovo interesse delle nuove generazioni a livello mondiale. Sono molto fiero di un fatto: sono circa due anni che proviamo a sbarcare in America, ma non è che stiamo facendo qualcosa per gli americani. Io continuo a fare quello che facciamo, con l’idea e la convinzione che a qualcuno piacerà. La nostra, è stata quindi un’evoluzione nella continuità.”

Quindi perseverare ha portato a quello che siete oggi?
“Sì esatto!”

E’ la mia stessa filosofia. Parlando di musica, Drake ha scelto di indossare esclusivamente i vostri capi per il suo “The Boys Meets World Tour”. Com’è nata la collaborazione?
“Non è una collaborazione, altrimenti viene frainteso il concetto.”

Infatti puoi spiegare dal principio il vostro rapporto?
“Lui ha cominciato a vestirsi Stone Island prima di diventare il Drake di oggi. Era un giovane ragazzo canadese di belle speranze e noi in Canada abbiamo una piccolissima, ma buonissima distribuzione. Lui è diventato tifoso del marchio fin da tempi non sospetti. Lui ama molto il nostro prodotto, quindi per l’occasione del tour europeo ci ha chiesto se potevamo fargli dei capi. Noi glieli abbiamo fatti su misura, solo per lui, non verranno messi in commercio, non saranno venduti e non ne faremo nient’altro. E’ proprio una questione di rapporto umano e personale. Lui, per caso, ha conosciuto mio figlio Matteo che vive in America, e sono diventati amici. C’è una relazione che non è di tipo commerciale, ma c’è un’amicizia e stima reciproca. Quando lo ho incontrato a Londra, lui era davvero emozionato di conoscermi (lo ero anch’io ovviamente). E’ un nostro fan incredibile, ma anche io ed i miei ragazzi siamo pazzi di lui. Al suo concerto sono rimasto fulminato, perché è davvero qualcosa di unico ed anche il suo ultimo disco è bellissimo. Pensa che il logo del suo tour è quello del nostro marchio, ma invece della scritta Stone Island, presenta quella di “The Boy On Tour” e da quell’idea si è fatto fare un medaglione con il nostro stemma.”

Quali sono gli altri personaggi noti che hanno indossato Stone e che ti hanno fatto particolarmente piacere?
“Steven Spielberg, Roberto Baggio, Marco Tardelli, Eric Catona, Woodie Allen, Jurgen Klopp, Travis Scott, Marco Belinelli, Matteo Renzi e Pep Guardiola. Siamo contrari al concetto di regalare il nostro prodotto. Questi sono personaggi che ricevono migliaia di robe e secondo me o le regalano, oppure hanno delle case enormi. Pensa Pep va a comprare le nostre cose nel negozio a Brescia.”

In fondo è quello che fa la differenza..
“Bravo! C’è passione, non una semplice operazione commerciale. Persino Mourinho ha indossato i nostri capi ed io sono interista!”

Anch’io.. ma sono tempi duri!
“Sì ma sono molto ottimista! Quest’anno non ce la facciamo ad arrivare al terzo posto, ma ho fiducia nella nostra nuova dirigenza. Tra un paio di anni ce la potremmo fare, anche se certe cose sono irripetibili”.

Che ricordi! Tornando a noi, che ne pensi dell’esplosione del brand nel mondo dello streetwear?
“Credo che sia figlio delle operazioni e delle collaborazioni fatte con Nike e con Supreme, che ci hanno fatto guardare da un pubblico totalmente diverso e che non ci conosceva. Da quando loro ci hanno conosciuto, hanno scoperto qualcosa di nuovo che gli piace. Io sono molto contento perché ho notato che non abbiamo perso i vecchi come me, ma abbiamo conquistato una fetta di giovani; ho l’impressione che non si avvicinino per moda, ma che lo facciano perché gli piace davvero il prodotto, che si lega con il loro modo di essere. Se fosse davvero così sarebbe ottimo e di questa esplosione ne penso tutto il bene possibile”.

Com’è nata la collaborazione con Nike? Tra l’altro ho preso la Sock Dart che approfitterei per fartela firmare! Come mai è stato scelto proprio quel modello?
“Certo, ora è un pezzo unico perché è la prima sneaker che firmo! E’ venuta Nike da noi. Il modello è stato scelto da loro e, per l’abbigliamento hanno puntato sul Wind Runner, per rivitalizzare un capo che è un loro tratto iconico. Gli abbiamo chiesto di modificare l’angolatura, ma non c’è stato verso, perché doveva rimanere in quel modo ed hanno ragione. Il nostro contributo in quel caso è stato puramente tecnico, mentre a livello di design non ci hanno fatto toccare niente”.

Progetti futuri e prossime collaborazioni?
“Non ce ne sarà nessuna. Ho l’impressione che in giro si sia abusato delle collaborazioni giusto per forzare le vendite e per alzare i prezzi. Io sono molto contento di quello che abbiamo fatto e penso che al mondo, non ci sia meglio di Nike o di Supreme, quindi è difficile trovare qualcun altro. Noi stiamo crescendo molto e il 2017, (so che non è elegante da dire) io lo definisco come un anno di digestione, perché due anni fa vendevamo 800.000 capi, mentre ora quasi un milione e mezzo. E’ una soddisfazione vedere nuovi giovani in azienda, visto che stiamo assumendo nuove persone per il controllo qualità, lato produzione ecc. Ma dobbiamo guidare questa crescita altrimenti rischiamo di essere travolti. Non ci sono piani di sviluppo particolari, visto che le cose vanno già molto bene così. Devo continuare a garantire una grande qualità, gestire le consegne e non voglio inflazionare il brand. Fra un paio di mesi ci sarà l’apertura del nuovo store di Los Angeles, che sarà il più grande che avremo al mondo, di oltre cinquecento metri quadrati. Per noi c’è già tanta roba in ballo, quindi quest’anno stiamo tranquilli ed ottimizziamo le nostre risorse”.

Ultima domanda: qual è la giornata tipo di Carlo Rivetti?
“Tutti i giorni verso le 10.00 arrivo in ufficio, che in realtà è un non-ufficio, visto che in pratica è un divano nella zona stile, quindi sono sempre in contatto con i nostri ragazzi dato che mi occupo del prodotto. Alle 19.00 finisco e vado in Latteria, che è il mio luogo dell’anima, dove passo un’oretta in compagnia di amici che mi permettono di liberare la mente. Torno a casa, porto a spasso la mia cagnolina, mangio e vado a dormire. La mattina dopo ricomincio. E’ difficile che esca a cena, non vado a ballare, ma viaggio tanto. Io dico sempre che faccio il mestiere più bello del mondo, perché qualsiasi cosa faccia, imparo delle cose che mi saranno utili. Essere qui durante la settimana del Fuori Salone, mi dà una carica di energia incredibile. Vedere la gente come si veste e come si comporta, è una cosa molto importante per uno che fa il mio mestiere."

Vedo un grande entusiasmo..
“Ci vuole passione. I miei tre figli lavorano in azienda ma io non ho mai chiesto loro cosa volessero fare da grandi. Ho sempre pensato che ognuno debba avere l’opportunità di fare il lavoro che gli piace. Se c’è una grande passione e riesci a farla diventare il tuo mestiere, è la cosa più bella che ci sia. Io da piccolo sognavo di fare vestiti, perché ho perso mio papà che ero piccolissimo e sono stato tirato sù con l’idea che avrei preso il suo posto. Non ho mai sognato di fare altro come il capostazione o il pilota di Formula 1. A tre anni venivo portato in fabbrica a vedere le produzioni e sono cresciuto, come dico io, a mangiare pane e vestiti. E mi pagano ancora a fare il mestiere che faccio, pensa un pò!”

E penso anche più di prima haha!
“E mi diverto come un matto! E’ una fortuna che auguro a tutti!”

Ringrazio Carlo per la sua disponibilità. Durante il mio incontro si è rivelato una persona solare, umile ed innamorata del suo lavoro. Da fan del brand è stato davvero un piacere conoscerlo e poter passare del tempo con lui.
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