lunedì 27 febbraio 2017

SURFABLOG.COM INTERVISTA PAOLA ZUKAR

Conosco Paola da dodici anni, quando ai tempi ero uno degli amministratori e fondatori del portale IlRap.Com, e lei lavorava in Universal Music curando la parte degli artisti Rap americani. Negli anni ci siamo spesso ritrovati, ed ho assistito, a volte anche da molto vicino, al suo percorso e alla sua carriera. Anche se ad oggi non abbiamo mai lavorato direttamente insieme, c’è sempre stato un rispetto e un’amicizia reciproca coltivata nel tempo. Nell’ultimo mese, dopo esserci incontrati per caso ad un evento, Paola mi ha parlato del suo libro “RAP” (uscito ieri) e, volendo conoscere un mio parere a riguardo, ho avuto il piacere di leggerlo in anteprima. Ci eravamo promessi che una volta pubblicato l’avrei intervistata, quindi vai su “Continua a Leggere”, per l’intervista a Paola Zukar.



Prima di tutto, sei emozionata per questo esordio letterario? Come lo vivi?
“Il libro è stata una mossa molto pensata. Ci ho messo tre anni per scriverlo e sono arrivata a quell’età, ovvero 48 anni, in cui effettivamente mi è venuto naturale realizzarne uno, anche per fare un bilancio di ciò che ho fatto finora. Non sono emozionata per il fatto che esca, ma piuttosto lo sono perché non è mio solito fare interviste, fare ospitate in radio o presentazioni. Parlare in pubblico non è proprio un talento che ho, ma sono contenta di poter condividere questa cosa”.

Nel libro racconti come ti sei avvicinata al Rap. Ora che la situazione è così cambiata trovi ancora lo stesso entusiasmo di allora?
“Sì! Il segreto è avere intorno persone che hanno il mio stesso entusiasmo. E’ molto importante circondarsi di persone entusiaste per quello che fanno. Essendo un lavoro molto creativo, dove ti rigeneri ad ogni progetto, questo rimane. Se non c’è entusiasmo, che per me è una parola cardine, lascia perdere, perché è il sale di questo lavoro! Tra parentesi, sono contentissima che mi hai chiesto questa cosa. Bella domanda!”

Qual è stato il momento in cui ti sei detta “ora scrivo un libro”?
“Delle volte non tutte le cose negative avvengono per nuocere. Cinque anni fa c’è stato un fraintendimento per una mia intervista in cui parlavo della Vecchia e della Nuova Scuola. Mi sono arrivati un tot di attacchi, e io ho scritto una lunga risposta su Facebook, non so se ti ricordi..”

Ricordo che appunto quello è stato il tuo ultimo post sul profilo privato..
“E’ stato l’ultimo di quel genere. Da quella rispostona, è venuto in ufficio Michele Dalai, che è l’editore del mio libro, che mi ha detto “Ho letto la tua risposta ed è stata una figata! Secondo me, tu  dovresti scrivere un libro e non metterti a rispondere sui social. Per il lavoro che fai e per il ruolo che hai, mettili in un libro certi pensieri!” E pensandoci...ho detto di sì. Io non sono solo un'utente, rappresento un’agenzia e ho un mio percorso personale che non riesco a raccontare con il mezzo del social. Chiaramente anche scrivendo un libro ci sarà gente che sarà contraria rispetto al mio punto di vista, è sacrosanto. Ho capito che il social network ha un altro ruolo, e non quello di raccontare una storia così lunga o di argomentarla. Il libro era lo strumento più adatto per fare un certo tipo di discorso. Nel momento in cui provavo a rispondere a quella situazione che si era creata, mi rendevo conto che avevo molte più cose da dire, e che in realtà quella risposta era solo un piccolo passo nel mio percorso più lungo, e quindi mille altre cose hanno preso il sopravvento. Difatti nel libro c’è solo un breve passaggio in cui racconto questo episodio”.

Penso che non ti aspettassi una reazione del genere.. Oppure ti eri resa conto di quanto vieni presa in considerazione?
“Hai capito perfettamente! Come dice Fibra “Il peso delle parole dipende da chi le dice”, per me è proprio una frase profetica. La mia risposta, durante l’intervista, era stata tagliata male, quindi vista così era un pò infelice. Sembrava che io sostenessi che solo in quel momento preciso, che era il 2012, il Rap fosse ben fatto e ben presentato, mentre in passato no. Non la pensavo così e non la penso così tuttora. In realtà intendevo dire che all’inizio è stata così difficile la fase di alfabetizzazione del Rap italiano, che alcuni che tentavano di fare questa cosa fallivano, e non erano bravi come gli americani o altri italiani che facevano la stessa cosa, meglio, in quel periodo. Era una cosa normale, essendo arrivato successivamente da noi. Nell’intervista inoltre ho detto, ma non si sente, che in quel periodo c’erano dei maestri come Neffa, che hanno insegnato a fare Rap a mezza Italia. Mancavano dei pezzi che avevo esposto, ma questo mi ha fatto percepire che io possedevo un ruolo in quel momento che non avevo afferrato, e mi veniva data un’importanza che non pensavo di avere”.

Mi hai raccontato che con il Rap ti sei tolta enormi soddisfazioni, la più bella qual è stata?
“Aver creato uno spazio importante per questa musica in Italia. Non che lo abbia fatto io soltanto ovviamente, ma penso che la soddisfazione più grande sia quella di aver contribuito, insieme a tante altre persone, a far sì che il Rap oggi abbia una valenza notevole rispetto ad altri generi musicali. Negli anni ’90 c’erano degli ottimi artisti, che nel libro cito anche, che sono stati molto maltrattati. Un disco come “SxM” dei Sangue Misto, doveva passare in radio secondo me. Prima, il Rap era snobbato, frainteso, concepito come uno scimmiottamento o come una di moda. Adesso anche se non è tutto oro quello che luccica, penso che il Rap abbia un suo spazio. Clementino ha vinto il Premio De André ed il Santeria Tour ha registrato praticamente tutti sold out nei maggiori club italiani. Per me adesso è una situazione positiva”.

Al tempo stesso hai dovuto lottare tanto. Qual e' stato il momento più duro della tua carriera?
“Dal 2006 ad oggi non mi sono mai fermata. C’è stato il momento della chiusura di AL nel 2000 in cui, come tutti, mi sono detta “Speriamo di riuscire a trovare un ambito dove poter portare avanti il mio discorso”. AL mi ha fortemente aiutato a iniziare questo percorso, poi, quando ha chiuso, il caso ha voluto che entrassi in Universal. Inizialmente avevo un ruolo più generalista, lavoravo ad mp3.com, in cui mi occupavo di tutti i generi. Poi ho iniziato a scavarmi una mia nicchia più improntata sul Rap”.

E se non avessi fatto questo lavoro?
“Ho preso una laurea in Pedagogia, in Scienza dell’educazione, e stare con i ragazzi in classe mi piace. Cercare di appassionare la gente o spiegare le cose mi entusiasma.. Quindi chissà, forse avrei fatto quello”.

Hai incontrato diverse leggende del Rap Americano. Una delle cose che ho sempre voluto chiederti.. Mi racconti com’è andata con Tupac?
“Con Tupac è stato un incontro mitologico. E’ avvenuto durante l’estate del ’96, all’apice del suo successo. Era stato chiamato in Italia per un party privato di Versace durante la settimana della moda. Lì è stata davvero una fortuna perché colui che lo ha portato in Italia era il curatore della rivista americana VIBE, che conosci bene. Lui, Jeffrey Byrns, mi chiama dicendo “Tupac è qua. Non è che vuoi fare un’intervista per AL?” Io parto da Genova. Arrivo nell’hotel, uno dei più grossi di Milano, e c’era ‘Pac in una stanza, che non era la sua, ma una adibita alle interviste. Non ricordo se quel giorno sono stata l’unica a fargliene una, ma è probabile. Mi siedo ed ero emozionatissima. Lui aveva una presenza scenica totale: aveva il chain della Death Row, la camicia di Versace aperta fino alla pancia ed era seduto su un trono. L’intervista, però, inizia malissimo. Gli chiedo, per rompere il ghiaccio “Che bello averti qua. Sono contenta che tu sia venuto perché purtroppo pochissimi artisti della West Coast vengono in Italia. Di solito vengono molto di più quelli della East Coast”. Ed era vero, visto che c’erano stati da noi gli EPMD, Erick B. & Rakim. Io ho solo pronunciato le parole West Coast ed East Coast e non avrei dovuto. Lui si era preso malissimo; finisco la domanda e lui mi fa “E quindi?” ..Il gelo”.

Incredibile...e poi?
“A quel punto gli faccio un’altra domanda e poi iniziamo a parlare di morale, perché lui aveva tatuato “Only God Can Judge Me”. Gli chiedo “Se solo Dio ti può giudicare e gli uomini no, diventa una questione di morale se tu vuoi fare il bene o il male sulla Terra. Quindi ti senti libero di fare qualsiasi cosa?”. Lui si è intrippato per questa domanda e ha iniziato a parlarmi di religione, dell’esistenza di Dio, della legge morale e della legge degli uomini. Da lì si è preso benissimo. Alla fine foto, non insieme, all’epoca non si usava fare i selfie; ne ha fatta una con il giornale e poi mi fa “Vieni in camera mia”".

Dovevi farti firmare qualcosa!
“Mi sono fatta firmare il CD, che mi hanno rubato ad AL!! Auguro a chi me l’ha rubato che glielo abbiano rubato a loro volta. Poi mi ha regalato il demo di Sadat X, la cassetta dei Digital Underground e quelle cose le ho ancora, ma non sono firmate. E' stato davvero molto gentile e simpatico con me".

Ma ti aspettavi che da lì a breve sarebbe stato ucciso?
“No no. Qua non si percepiva. Ma lì c’era un bel clima di violenza”. 

Nel libro ringrazi tua figlia. Anche lei è appassionata o la tieni alla larga da questo mondo di squali?
“Bea è appassionata del lato più bello. Lei è appassionata così come lo sono i ragazzini di tredici anni ed è bellissimo. Per me lei è molto istruttiva e mi spiega un sacco di cose. Sa benissimo le differenze che ci sono tra i rapper italiani, a dispetto di alcuni giornalisti italiani di mezza età che fanno di tutta l’erba un fascio. E’ molto bello vivere la musica attraverso i suoi occhi e le sue parole, perché ricordo come la vivevo io. Lei è molto appassionata di musica americana e di Rap italiano”.

Come un calciatore, tu è come se avessi già vinto campionato e Champions League. Che altro traguardo vorresti raggiungere ancora nel Rap?
“Bella domanda.. difficile da rispondere. Secondo me dove c’è più margine di crescita, e cioè nei media, nella comunicazione. Mi piacerebbe ritornare ad avere un ruolo nella parte mediatica, così come ce l’avevo in AL. Più avanti mi piacerebbe, magari tra dieci anni che non sarò più in grado di seguire i concerti”. 

Gestendo artisti di questo livello, avrai accumulato un’esperienza tale da renderti competitiva in ogni campo.. hai mai pensato di fare la manager anche agli atleti?
“In America si usa tantissimo! La manager del producer Hit Boy, che è stata una delle collaboratrici di Kanye West, gestiva anche due giocatori di basket. Io di sport non ho mai capito niente. Non sono un’appassionata, l’ho sempre praticato ma non l’ho mai seguito, per questo non sarei in grado. Credo che sia un lavoro che se fai solo per soldi e senza passione, non ti può portare successo”.

Che fai nel tempo libero? Hai altre passioni oltre al Rap?
“Facendo questo lavoro ed avendo una figlia, ho pochissimo tempo libero. Mi piace molto leggere e guardare film. Mi piacciono molto le biografie, i documentari. Parlando di libri mi sono piaciuti molto quello di Agassi e quello di Tyson”.

Quali saranno i tuoi prossimi progetti?
“Tommy Kuti, che è un ragazzo che trovo interessantissimo; non solo la sua storia ma anche il suo modo di fare musica. Era da tanto che volevo lavorare con un rapper nero, afro-italiano. Penso che sia un’altra delle anomalie italiane il fatto che fino a poco tempo fa non ci fossero degli MC di colore, ma ora stanno arrivando. Lui è una bella sfida e la incarna in pieno, con una saggezza e un modo di porsi che gli permette di saper stare con chiunque. Come si diceva una volta con i principi e con i poveri. In arrivo il disco nuovo di Fibra, quello di Marra e di Clemente. E inoltre il tour di tutti”.

Segui Surfablog.Com? Sei appassionata dei blog in generale?
“Sì, moltissimo. Credo che avete trovato il modo di spezzettare questa realtà multi livello. Penso sia davvero difficile fare comunicazione oggi, che sembra tutto facile e molto immediato. In realtà il blogger ha un ruolo fondamentale, ovvero quello del curatore. Essendoci miliardi di cose oggi, una sovraproduzione di tutto, se non ci fossero persone come te, che selezioni per gli altri le notizie, sarebbe molto complicato saper scegliere. Io mi appoggio tantissimo ai curatori, sia in radio che sui blog. Ad esempio The Fader, che seguo da vent’anni, ha un ragazzo, Rob Stone, che già faceva selezione ed ha saputo reinventarsi anche con i blog declinati nei vari social network.. Anche tu li usi molto bene, ed è un'arte se fatta bene. Nel mondo dei blog c’è una competizione fierissima, e c’è un sacco di gente che si butta, e sembra un pò tutto un polverone. Poi però se approfondisci il discorso ti rendi conto di quelli che lo fanno bene, con passione, con talento, con conoscenza, ed altri che lo fanno per fare i fashion blogger, indossando giusto dei brand. Tu sei soddisfatto del tuo? Ma anche tu sei da intervistare! Dimmi una cosa..”

E ovviamente poi abbiamo continuato a parlare di me e dei nostri interessi comuni. 
Ringrazio Paola per il suo tempo e per l’interessantissima intervista. 

Per saperne di più sul suo libro “RAP” clicca qui.

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