giovedì 15 settembre 2016

SURFABLOG.COM INTERVISTA ROB JONES (PRODUTTORE & SVILUPPATORE DI NBA 2K)

Domani esce uno dei videogame più attesi dell’anno, ovvero NBA 2K17. Esattamente una settimana fa a Milano c’è stata la presentazione di questo gioco con diversi ospiti tra cui l’uomo copertina Danilo Gallinari e Rob Jones, ovvero il produttore/sviluppatore della saga di NBA 2K. Essendo un grande appassionato di questo titolo, ho avuto il piacere di intervistarlo e, nonostante sia un signore americano, avendo vissuto a Roma per quattordici anni durante la sua adolescenza, mi ha stupito che le sue risposte siano state tutte in italiano (anzi in slang romano). Vai su “Continua a Leggere” per l’intervista.


Qual è la tua storia? Com’è nata la tua passione per i videogame? Come sei arrivato a 2K?
“Ho iniziato a giocare ai videogame in Italia quando vivevo a Roma. A differenza del flipper, i giochi dei computer erano molto più semplici per me, perché riuscivo a riconoscere i pattern e quindi vincevo. Il flipper invece era troppo rapido e vario, anche se dopo un pò ho imparato anche quello, invece quando giocavo contro un computer, capivo perfettamente com’era stato programmato. Fin da subito mi ero appassionato ai giochi sportivi, infatti a scuola si giocava ad “Olympic Decathlon” o a “Sensible Soccer”. La mia vita consisteva nel giocare a videogame sportivi e nel praticare  basket in un club in Italia. Finito il liceo sono andato a studiare ingegneria nell’Università del Michigan ed ho continuato a coltivare la passione sia per la pallacanestro che per i videogiochi. Dopo essermi laureato, stavo lavorando per un’agenzia che svolgeva consulenza negli ospedali, però nel frattempo scrivevo recensioni per una rivista riguardo videogiochi di sport. Un giorno, leggendo un articolo di un loro giornalista, ho scritto al giornale dicendo “Questo tipo non ha nemmeno giocato a questo videogame. Posso elencarti una serie di motivi che dimostrano la mia teoria”. L’editore mi ha quindi risposto dicendomi che mi avrebbe mandato sei o sette giochi da recensire in tre mesi. Da lì ho fatto un pò di conoscenze ed ho iniziato a lavorare per Electronic Arts. In quattro anni ho testato “Madden Football” e poi sono andato a lavorare per Nintendo per un paio di anni. Lì però non mi è piaciuto lavorare perché all’inizio volevano fare un gioco che fosse il competitor di “Madden”, ma dopo hanno cambiato idea e volevano una cosa in stile “Super Mario”, ma quello non era il mio obiettivo. Sono quindi rientrato in California ed ho iniziato a lavorare con 2K”.

Che situazione hai trovato quando sei arrivato da 2K?
“Io avevo idee completamente diverse rispetto a quelle che stavano già mettendo in pratica. C’è da dire che ai tempi il Dreamcast aveva una grafica talmente all’avanguardia, che tutti erano già felici del risultato del videogame che era stato creato. Io invece guardavo lo sport e dicevo “Sì ma è anni luce lontano da quello che pratico io!” Per fortuna non mi hanno cacciato e dopo pochi anni abbiamo fatto degli enormi progressi per avvicinarci alla vera pallacanestro”.

Quindi te ora coordini gli sviluppatori?
“Il gruppo degli sviluppatori è composto da 300 persone, escluso il lavoro che viene svolto all’esterno. In aggiunta c’è anche un gruppo di produttori, come me, che prendono le decisioni e danno le direttive riguardo il gioco del prossimo anno”.

Dicevi che sono stati fatti dei passi da giganti nello sviluppo di NBA 2K. Ora a che percentuale di perfezione siamo?
“Secondo me siamo ancora lontani, perché il gioco è troppo pulito. Se uno guarda FIFA o PES dice che sono entrambi bellissimi, ma se poi uno vede il gioco reale, si rende conto che c’è ancora una bella differenza. Per NBA 2K la situazione è ancora più complessa, perché il gioco è veramente in tre dimensioni. Se vedi gli altri videogame di sport, sono in realtà in due dimensioni, perché la palla va avanti o indietro e deve solo colpire un punto. Nel basket invece il pallone va anche in alto e quindi muovendosi su tre dimensioni, anche i tempismi sono tutti diversi. Se io faccio un passaggio, che comincia corto e poi voglio farlo diventare lungo, nel calcio il movimento è meno evidente che nel basket. Ci sono dei problemi decisamente diversi, che piano piano stiamo risolvendo. Secondo me siamo al 60-70%, anche se nel mio ufficio c’è gente che sostiene che stiamo al 90%, perché loro vedono il basket in modo diverso dal mio”.

Come mai quest’anno avete introdotto una sezione dedicata alle sneakers da collezione?
“Abbiamo da anni una sezione sulle sneakers, ma quest’anno l’abbiamo davvero evoluta. Per la prima volta abbiamo modellato ogni sneakers con la propria geometria. La tua Kobe è molto diversa dalla mia Ultraboost, ma due anni fa noi usavamo la stessa struttura, usavamo solo il texture diverso. Apparentemente sembravano sneakers diverse tra loro, ma in realtà la forma era sempre la stessa. Avevamo tre geometrie diverse: bassa, media ed alta, ma due anni fa abbiamo voluto creare una scarpa alla volta attraverso il 3D scanner. L’anno scorso ne abbiamo fatte una settantina, mentre stavolta le abbiamo fatte tutte. Negli States la community amante delle sneakers ce lo richiedeva di continuo ed abbiamo voluto accontentarli”.

L’anno scorso ho scritto sul blog che Steph Curry era stato per voi il giocatore più difficile da elaborare come decisione di tiro (per saperne di più clicca qui). Me lo confermi?
“E’ tutto vero. Il problema è sorto quando questo tipo si è messo a tirare da centrocampo, come se fosse una cosa normale. Non solo tirava da centrocampo, ma segnava pure! Noi abbiamo costruito il gioco su dei parametri ben precisi e, se avessimo aperto a Steph Curry l’abilità da centro campo, sarebbe stata aperta anche agli altri come Kevin Durant. Non eravamo pronti a questa anomalia e inoltre non c’è nessun altro giocatore nell’NBA che prende queste decisioni, per cui come fai a dire al computer che un solo atleta poteva segnare da venti metri? Quest’anno ci abbiamo riflettuto ed abbiamo trovato un modo specifico per fare in modo che solo Steph Curry fosse in grado di fare queste cose. Steph è stato veramente il più difficile da elaborare”.

Tempo fa c’è stato un giocatore che ha chiesto ad NBA 2K di alzare i suoi valori e 2K lo ha accontentato (per saperne di più clicca qui). Ci sono stati altri atleti che hanno fatto lo stesso?
"Sì, era Hassan Whiteside degli Heat. Il gioco adesso è diventato così parte della cultura dell’NBA, che i giocatori della lega trascorrono lo stesso tempo che noi impieghiamo a vedere le loro partite, a giocare a NBA 2K. Molto spesso ci arrivano messaggi dai social di lamentele dei giocatori stessi. Noi ogni volta controlliamo e valutiamo se abbiamo sbagliato. Se abbiamo ragione noi glielo spieghiamo e c’è sempre una risposta diretta, perché sono loro che stiamo replicando. Due settimane fa abbiamo avuto in sede D’Angelo Russell dei Lakers, e appena entrato si è lamentato dicendo “Non sono abbastanza forte!” Noi gli abbiamo detto “Te hai il talento del giocatore che credi di essere, ma devi dimostrarlo e non solo in due partite. Che tu possa essere più forte lo sappiamo già, ma faccelo vedere”.

In passato, nei vari NBA Street, ma anche in 2K, c’era la possibilità di poter giocare con dei rapper o altre celebrità. Lo farete anche in futuro?
“Quest’anno come celebrità si può scegliere Thierry Henry. Sono cose che abbiamo fatto quando ci sono state richieste. Tante super star sono fan del gioco, e quando ce lo richiedono espressamente siamo felicissimi di inserirli nel videogame. A meno che non ci sia una vera ragione, non abbiamo questa volontà e la proposta non parte da noi. A noi interessa il gioco vero”.

Per concludere, la colonna sonora di NBA 2K è un aspetto fondamentale del gioco. Ogni anno scegliete uno o più personaggi che ve la curano. Secondo quali canoni avviene la decisione?
“Io non mi occupo più direttamente di questa cosa. Il ragazzo che lo fa è molto legato al mondo della musica e sceglie il produttore che sarà il trend dell’anno successivo. Quest’anno se ne sono occupati: Imagine Dragons, Grimes e Noah Shebib (producer di Drake). In 2K17 sono incluse cinquanta tracce, tra cui una del tuo collega Ghemon in rappresentanza dell’Italia. Si crea una sinergia tra i produttori e noi, per cui loro ci dicono le canzoni che vogliono inserire e noi dobbiamo prendere i diritti per usarle, e ci vuole più tempo di quello che la gente pensa. L’anno in cui avevamo Jay Z è stato molto più semplice, visto che lui ha usato tutta la sua musica”.

Ringrazio Matteo e 2K per l’invito e Rob Jones per la sua disponibilità. Per me che sono un grande fan di NBA 2K è stato davvero interessante parlare con lui.
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